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intervista a Ferando León de Aroa

Il film è appena uscito in Spagna!!!

Intervista al regista di princesas Fernando León de Araoa

- Qual'è stata l'origine del film?

La storia viene da vari posti differenti, è un po' come se avesse degli affluenti: mi costa un po' concretare la sua origine. Per citarne qualcuno ti parlerei di un ricordo, qualcosa che mi raccontò una volta un amico circa un parrucchiere dove lavorava sua madre e dove andavano solitamente le prostitute che lavoravano nella zona, non tanto per tagliarsi i capelli ma più per passare il pomeriggio e per parlare delle loro cose. Lei era testimone attonita di quelle conversazioni, e anche della rivalità che c'era tra le ragazze di qui e quelle che venivano da fuori che erano quasi sempre mal accolte per la dura competitività. Raccontare quella rivalità nello stesso modo in cui si sarebbe potuta raccontare se invece della prostituzione si fossero dedicate a qualunque altra cosa era tra i miei obiettivi mentre scrivevo questa storia. Incominciai a farlo prima di girare I lunedì Al Sole, quindi dovetti conservarla in un cassetto fino a che finii quel film e che uscì, e la cosa mi risultò molto difficile.


- Trattandosi di un film che si basa molto sull'interpretazione, immagino che riunire il cast sia stato un compito complicato.

Tanto a Candela come a Micaela le conobbi tempo prima di fare il film, e benché fosse presto ancora, i personaggi già mi frullavano per la testa e non potei evitare di vederle tra le principesse del film. Come sceneggiatore, cerco sempre di non pensare mai a nessun attore per potere creare liberamente il personaggio. Alrtimenti si corre il rischio di scrivere cose che hai visto già fare molto bene in altri film, e credo che non è buono per nessuno, né per il film né per l'attore. Nonostante quello riconosco che Candela mi veniva spesso in mente quando facevo parlare Caye. È un'attrice straordinaria, da DIAS CONTADOS fino ad oggi credo ogni personaggio che ha fatto, ogni sguardo, ogni parola che ha detto... Lavora sempre partendo dalla verità, e per un regista questo è sempre un regalo. Per cercare a Zulema si fecero anche piccoli casting fuori della Spagna, uno a Cuba, un altro a New York. In quello trovammo Micaela... fu una fortuna per il film. Lei ha fatto crescere a Zulema, trasformandola in un personaggio molto più complesso di quello che io immaginavo. Poi facemmo un lungo casting cercando le ragazze del parrucchiere; questo era il primo film per molte di loro e questo fece del rodaggio un momento molto speciale, molto stimolante.


- Fino a che punto ti allontani dal copione iniziale mentre si sviluppano le riprese? lasci improvvisare gli attori, o no.

Utilizzo le prove per mettere a prova il testo, vedere se ci sono cose che non suonano bene, o semplicemente non sono credibili. È verità che mi costa accettare cambiamenti durante le riprese, credo che in un certo modo io sia ancora un sceneggiatore messo a dirigere. Scrivendo i dialoghi cerchi una certa musicalità che temi perdere dopo nelle improvvisazioni. Nel caso del personaggio di Zulema è differente, mi interessavo incorporare i modi di fare e le espressioni che Micaela aveva, la sua forma particolare di parlare. Ha una serie di sequenze nella quale parla con la sua famiglia da un parlatorio. Immaginai sempre che in quelle occasioni, ascoltando ai suoi, il linguaggio le si chiudeva, utilizzava più espressioni, facendo le sue conversazioni più difficili da capire.


- Adattarsi tanto al testo e lavorare con la camera in mano obbliga a provare più?

Provo sempre prima di girare, tutte le scene che credo che rinchiudono qualche tipo di difficoltà. Non si tratta di arrivare fino al finale di esse, di lasciarlore pronte per girare, bensì di aprirle, di levigarle un po'. Di fare, almeno, un primo avvicinamento, una lettura. le prove esaustive nemmeno servono a molto due mesi prima di girare la sequenza. Quando arriva quel momento normalmente facciamo una piccola messa in scena, affinché tutta la squadra abbia una piccola mappa di quello che si gira. Nel parrucchiere era essenziale. Tutti i giorni arrivavamo e montavamo una piccola prova meccanico, un teatro coi movimenti e le posizioni, affinché le attrici ed il direttore di fotografia avessero chiaro tutto. Neanche sono a favore di provare fino ad arrivare a quello che sembra che è la presa buona, credo che sia migliore lasciarlo un po' prima, quando vedi che le cose incominciano ad avvicinarsi a quello che cercavi.

...continua...

....continua... intervista a Ferando León de Araoa

- In un film tanto intimista sembra, tuttavia, che la camera rimane a distanza. Perché i teleobiettivi?

Per varie ragioni. Volevoche la camera stesse lontano dalle attrici, volevo lasciar loro spazio, aria intorno, e che non avessero addosso la camera; credo che ci siano momenti nei quali qusto procedimento aiuta fino a a dimenticarsi della camera. C'erano volte che persino Candela non si rendeva conto di dove l'avevamo collocata, e dopo tre o quattro prove la scopriva quasi con sorpresa e dicendo, lì stava la camera? Delle ottiche lunghe mi piace anche il risultato visuale, ed in quello coincidevo con Ramiro, il direttore di fotografia. Isola leggermente i personaggi, astrae gli spazi dietro essi. Credo che sia molto buono per i ritratti, e questo è un film dove la cosa più importante è quella, la ritratto di queste due donne.





- È la prima volta che lavori con Ramiro. Quali sono i rischi e le gioie di provare con un direttore di fotografia che non conosci?

C'era dall'inizio molto accordo con Ramiro, un'enorme vicinanza in quanto a quello che doveva essere l'estetica di Princesas. Facemmo un paio di chiacchierate lunghe per telefono, e subito comprovammo che avevamo una visione molto simile del film. Ma di questa e di tutte. Decisioni plastiche, di colore, di ottiche.... A lui gli piacciono molto anche i teles; coincidevamo nel tipo di colori che volevamo che dominassero e cercavamo già che fossero presenti nel vestiario e negli arredamenti che la fotografia in realtà si costruisce da lì. Anche in quella visione un pochino calda del film, tra altre cose perché trascorre tra l'estate e l'arrivo dell'autunno. A Ramiro gradiva anche girarla con la camera in mano. Io avevo visto prima il suo lavoro in EL ABRAZO PARTIDO, di Daniel Burman, che mi risultò affascinante. Tutto ciò mi diede molta sicurezza nel momento di lavorare con lui. Quell'intendimento che si estendeva oltre alla cosa personale, ci ha permesso di dar anche spazio e tempo alle attrici che in fin dei conti erano la cosa più importante del film.


- Che cosa risalteresti della luce che illumina le Princesas?

Volevo allontanarmi da una determinata immagine molto stereotipata della prostituzione, quella che le rappresenta sempre nel bancone di un bar buio, con mezza faccia illuminata in rosso e l'altra in ombra, perché molto di quello che ho visto durante la preparazione del film non ha niente a che vedere con quello. Mi piaceva fare qualcosa di più luminoso, cercare la vita, la luce che è lì dentro, perché ci l'è. Volevamo inoltre che la luce fosse molto naturale, molto reale. In alcuni sequenze che girammo per strada, per esempio per la zona di Quatro Caminos, o a Preciados, quando faceva sera, non abbiamo mai illuminato la strada, tagliata o riempita di comparse. Decidemmo di girare tra la gente che passeggiava a quell'ora, come in un documentario: tentando di calarci nella realtà invece che ricreandola.


- Tanta fedeltà per costruire una bugia?

Bene, è che credo che fare film è un po' questo: elaborare una bugia che contiene, nel suo senso più intimo, una verità. Questo paradosso è quello che più mi piace del cinema. Per lo stesso motivo mi attrae più la finzione che il documentario. Perché nella finzione c'è un accordo con lo spettatore nel quale i termini sono trasparenti: mettendo i nomi degli attori ed il direttore al principio del film, stai dicendo allo spettatore: questo che vede lei è una simulazione della realtà, non la realtà. E tuttavia, durante due ore, puoi ottenere che lo spettatore si dimentichi di quello che gli hai detto e la cosa viva come una verità e l'emozioni, lo preoccupi, lo faccia ridere o mettere paura. Questo è per me il miracolo del cinema. Che si viva come reale qualcosa che invece è tanto costruito, tanto elaborato.

Re: ....continua... intervista a Ferando León de ARANOA!!!

- E, di nuovo il quartiere. Avrà dato spunto a un mucchio di aneddoti un rodaggio del genere?

Entrevias ha una ruolo molto speciale in questo film. Mi è successo un po' come con le attrici, avevo pensato già di girare lì prima di avere finito il copione. Fu quando incominciamo a cercare il parrucchiere di Gloria che era una delle localizzazioni più difficili perché avevamo bisogno di un locale con alcune caratteristiche molto determinate. Allora mi venne in mente una piazza che avevamo localizzato faceva già molto tempo, per BARRIO. Sopra il locale cìera un pub chiuso che si chiamava Il Principe: aveva merli e tutto. Poi ci fu molto buon affiatamento con la gente del quartiere. In qualunque altra zona di Madrid sarebbe stato più difficile girare questo film, sono sicuro. Il primo giorno andammo a presentarci a tutti, a dire che saremmo stati lì per un po' tempo, tentando di disturbare il meno possibile ma disturbando, in fin dei conti. Il prete della parrocchia ci lasciò installare lì, mangiavamo lì, e lì si cambiavano le attrici, la figurazione. Ad alcune di esse, specialmente alle latinoamericane, metteva loro in imbarazzo cambiarsi davanti ad un gran cristo crocifisso, cosicché dovemmo mettergli davanti un paravento affinché le ragazze si sentissero comode. Il film è pieno della gente del quartiere, alcuni come comparse, altri come meritori o guardiani. Mentre giravamo nel parrucchiere io avevo un monitor piccolo nel quale si vedeva quello che giravamo. Ed un giorno scese una vicina per farci notare che quando accendeva la tele, in uno dei suoi canali appariva il nostro rodaggio; quello che io vedevo nel monitor lo vedeva anche lei. La signora era molto consapevolie con quello di quello pirateria e ce lo raccontò affinché prendessimo precauzioni, affinchè nessuno lo registrasse e tirarsse fuori prima il film di noi. Si può dire che nella sua casa videro in esclusiva mondiale la prima di Principesse.


- C'è un altro tipo di paesaggio molto presente nel film, il paesaggio incorniciato dai vetri. Perché schermi dentro lo schermo?

I vetri sono spesso un schermo tra noi ed i personaggi, per non farci ascoltare quello che stanno dicendo. A volte per pudore, come quando Zulema entra nell'ambulatorio del medico o quando chiama il funzionario dalla cabina. Mi sembrava un modo più elegante di raccontarlo. È come se in quei momenti io non volessi ascoltare quello che stavano dicendo, e penso che neanche lo spettatore doveva ascoltarlo. In un altro caso, come nel parrucchiere, il gran finestrone che separa le ragazze dalla piazza funziona quasi come un televisore: in lui vedono la realtà delle immigrante come se fosse qualcosa che non le appartenesse, qualcosa che succede all'altro lato del vetro e che pertanto, non può colpirli.


- È anche il tuo primo lavoro con Llorenç come Direttore artistico. Che chiave avete maneggiato per la costruzione di questo regno tanto particolare?

Mi sono divertito molto lavorando con Llorenç. È un disegnatore eccellente . Credo che in questo film - in tutte -, gli spazi parlano molto dei personaggi; gli oggetti, il colore delle lenzuola, i catenacci nella porta, l'ordine o il disordine che ci sono nelle sue case, dicono cose di essi. In Llorenç ho trovato qualcuno con chi puoi parlare prima dei personaggi che degli arredamenti, quello che è molto più interessante. Mi piace avere quel tipo di comunicazione col dipartimento artistico, condividere con loro il linguaggio degli oggetti e come questi parlano dei personaggi. L'appartamento di Zulema, per fare solo un esempio, era un po' come lei: un posto di transito, provvisorio, pieno di porte chiuse, i vetri delle finestre coperti di carta di giornale per evitare sguardi altrui.






- Che vantaggio ha giorno per giorno nel del rodaggio essere colpevole del copione?

A volte mi risulta più facile portare avanti il rodaggio perché il copione è mio e so da dove esce tutto, che cosa è imprescindibile e che cosa non lo è tanto. Per esempio per dirigere agli attori: avendolo scritto sai da dove esce ogni frase, che senso ha, che cosa cerca. Sai quale è il copione che hai scritto e perché l'hai scritto, ma è che conosci anche il copione che non hai scritto, le sequenze, i dialoghi, le trame che hanno continuato a cadere dal testo. Quell'informazione può essere molto utile per gli attori. Tardai molto tempo prima di poter sedermi a scrivere Principesse. Cosicché, per togliermi l'ansietà, ogni volta che viaggiavo o avevo un fine settimana tranquillo mi dedicavo a scrivere a Caye piccoli monologhi, cercandolo un po' la voce, il modo di parlare e soprattutto di vedere la vita. La maggioranza di quelle note non stanno nel film, ma fanno parte del personaggio e li ho condivise con Candela.







- È stato difficile trovare un'atmosfera musicale a quelli testi tanto al limite?

La musica esce dalla storia

Re: Re: ....continua... intervista a Ferando León de ARANOA!!!

- È stato difficile trovare un'atmosfera musicale a quelli testi tanto al limite?

La musica esce dalla storia, e per quel motivo, in una certa maniera, si divide in due parti. Una ha più a che vedere con Zulema, col suo mondo, con la passeggiata per il mercato, la visita al ristorante latino…L'altra l'ha fatto Alfonso di Vilallonga ed appartiene alla parte più emozionale del film. Credo che abbia fatto qualcosa di molto delicato, molto bello che concorda, come mi disse, con la fragilità che egli ha visto nei personaggi. È una musica discreta ed elegante, come esse. Piccola, benché solo in apparenza. E dopo c'è la musica di Manu Chao, che fa un po' come da ponte tra quei mondi. Il film è come le sue canzoni: è meticcio, randagio, molto urbano, ha anche quel miscuglio di tristezza ed allegria quasi permanente, quello che lui chiama malegría. L'immaginavo quasi sempre associato a quella piazzetta che c'è di fronte al parrucchiere, quella piccola ONU in miniatura con le sue mille lingue, il suo mille colori di pelle… E l'associavaoanche alla speranza che credo che contiene anche il film. Normalmente dicevo a Manu che se questo film ascoltasse musica ascolterebbe la sua. Alla fine ho avuto la fortuna enorme di contare sul suo appoggio e del suo lavoro, in quelle due canzoni che ha registrato per il film…


- Non era già abbastanza complicato scrivere e girare per osare anche di produrre?

Mi sembrò che era il momento di farlo, mi sentivo con l'energia sufficiente, dopo avere diretto tre film. Forse è che come direttore mi sentivo già tranquillo per potermi occupare anche di quello, dello stesso modo che fino a che non avevo scritto sei o sette film come sceneggiatore non mi sentii sufficientemente sicuro come provare con la regia. Credo che produrmi ha dato inoltre una visione più completa di quello che è fare un film, mi è servito per comprendere aspetti di quel processo che come direttore mi costava più capire. Mi interessavo anche di seguire il processo del film dal principio fino alla fine. Ho la sensazione che questo film ho potuto manifatturarlo come, dalle prime passeggiate per la Casa de Campo, già tanto tempofa, dalle prime linee del copione, quando nessuno sapeva ancora niente della storia, fino agli ultimi dettagli, che stiamo stringendo in questi giorni. Un processo quasi artigianale. Devo dire che la mia prima decisione come produttore fu circondarmi di gente molto buona in produzione che è quella che ha fatto più duramente il lavoro, il più ingrato, per invisibile. In realtà credo che la direzione e la produzione stanno molto vicino, molto comunicanti, molto più di quello che uno potrebbe pensare. Perché la cosa migliore per il film è sempre la cosa migliore per la produzione.